Questionario 2013 – Elisabetta Brusa
1. Qual era all’inizio degli anni Ottanta il tuo rapporto con il Novecento musicale?
Mi sono diplomata al Conservatorio di Milano proprio nel 1980 ed ero già da qualche tempo veramente sfiduciata a causa dell’ambiente musicale nel quale mi trovavo e che non mi apparteneva. Sapevo di essere e di aver scelto di essere diversa dagli altri allievi e docenti e che ero considerata tradizionalista, ma non mi sentivo e non potevo essere diversamente. Nonostante i tempi, sono stata fortunata per essere stata allieva di Bruno Bettinelli, in quanto, oltre a essere un eccellente docente di Composizione, non mi obbligava a comporre con tecniche e stili d’Avanguardia, anzi, mi aiutava tecnicamente a trovare il modo per esprimere meglio le mie idee. Più di una volta mi confessò che sarebbe voluto nascere agli inizi dell’Ottocento. Peccato che non se ne sia infischiato di tutto l’ambiente compositivo di quei tempi e non abbia composto secondo le sue vere inclinazioni.
L’anno prima di diplomarmi Bettinelli andò in pensione, quindi finii gli studi con Azio Corghi. Anche lui fece di tutto per darmi l’insegnamento necessario per conseguire il Diploma il più presto possibile, perché non ne potevo più di rimanere allieva del Conservatorio e già insegnavo al Conservatorio di Darfo Boario Terme. Le sue lezioni di Orchestrazione erano illuminanti.
Mi piaceva e tuttora mi piace molto insegnare le materie tradizionali: armonia, contrappunto, le forme, l’orchestrazione, ma non mi piacciono imposizioni di alcun genere. Corghi cercò di convertirmi a linguaggi sperimentali, ma io non me la sentii di seguirlo sotto quest’ aspetto.
Nel 1978 conobbi Hans Keller (musicista (violinista della BBC Symphony), filosofo, critico, musicologo e inventore della Wordless Functional Analysis) ai corsi estivi di Dartington in Inghilterra. Essendo parzialmente inglese, andavo a trovare parenti e amici a Londra per lunghi periodi, anche tre volte l’anno. Da lui, a Londra, mi recai saltuariamente per alcune lezioni di Composizione e questi appuntamenti durarono fino alla sua morte, avvenuta nel 1985. Nonostante io abbia sempre creduto nelle mie composizioni, per anni mi sono sentita molto emarginata e solo Keller mi salvò in quegli anni da una crisi che mi avrebbe impedito di continuare a comporre. Più volte mi disse che credeva nelle mie qualità e che dovessi andare avanti a comporre a modo mio. La persona che mi aiutò più di tutti al di fuori dell’insegnamento fu Niccolò Castiglioni, che mi stimava molto e col quale avevo instaurato una simpatica amicizia, a differenza di altri suoi colleghi che avevano soltanto un rapporto fra docente e allievo. Mi presentò a Elliot Carter, Goffredo Petrassi e Lukas Foss e mi scrisse delle lettere di presentazione per il Tanglewood Music Center e il MacDowell Colony. A loro volta anche questi tre compositori scrissero lettere per questi due centri musicali. Ancora oggi mi domando perché le scrissero, dato che le mie musiche non avevano niente in comune con le loro.
Per quindici anni esatti fui abbonata al ciclo di concerti di musica contemporanea “Musica nel Nostro Tempo” e non mancai rigorosamente di assistervi tutte le domeniche mattine. Mi stufavo, mi annoiavo, mi deprimevo, ma consideravo mio compito ascoltare la produzione dei miei tempi. Ero giovane e avevo ancora tanta energia da consumare.
2. Ci sono stati nella tua formazione musicale dei modelli di riferimento nel Novecento italiano?
Il mio modello di riferimento più importante del Novecento italiano è stato Ottorino Respighi. Le idee musicali legate dall’immaginazione visiva e il colore orchestrale sono le qualità più evidenti nei miei poemi sinfonici più descrittivi.
3. Chi sono stati i tuoi maestri (reali o ideali)? Cosa hai imparato da loro?
Oltre ai maestri Bettinelli, Corghi e Keller, sono sempre stata influenzata dalla musica Russa e Mitteleuropea dell’Ottocento e del primo Novecento. In realtà amo tutta la musica Tonale e credo di essere stata influenzata da moltissimi compositori, da tutti i loro stili e personalità.
4. Quale clima avvertivi nei conservatori, nelle istituzioni musicali e nella critica?
Ribellione verso tutto il passato. Borioso senso di convinzione che tutto il passato, soprattutto l’Ottocento, fosse un errore della Storia che aveva prodotto del marcio musicale basato su emozioni, sentimenti e sentimentalismi di basso livello. Per loro, letteralmente quasi tutto il Conservatorio, esisteva solo musica concettuale priva di emozioni e di comunicatività. Il “materiale musicale” doveva essere elaborato, letto e compreso solo al tavolino e doveva essere motivabile fino all’ultima nota. L’analisi e il concetto della scrittura dovevano essere le basi per qualsiasi composizione. Nessun’istintività o intuizione scaturita dal subconscio.
5. Sentivi di avere una posizione o un ruolo in qualche modo d’opposizione al sistema musicale dominante?
Decisamente. Lo sapevo perfino prima di iscrivermi al corso di Composizione del Conservatorio, perché mio padre aveva parecchi amici musicisti che conosceva sin dalla gioventù, nonostante non fosse musicista lui stesso. Tutti i docenti e gli allievi erano diversi da me e più che passasse il tempo, più che maturavo, più aumentava il divario fra me e loro. Mi disturbava, mi portava depressione, ma non mi sentivo di cambiare, di essere diversa da quello che ero. Comunque, già prima che morisse Hans Keller, io avevo raggiunto una totale libertà e convinzione di pensiero e non mi sentii mai più depressa, disorientata o indecisa.
6. Come ti rapportavi alla musica “d’avanguardia” del secondo dopoguerra europeo, in particolare con quella degli esponenti e degli epigoni della Scuola di Darmstadt?
Mi sentivo come se facessi studi diversi dai loro. Come se studiassi un’altra materia. Non due linguaggi diversi. Letteralmente due materie che non erano connesse l’una con l’altra. Francamente mi pareva che io studiassi Musica, ma gli altri qualcosa d’irreale. Bettinelli era una specie di ponte che mi permetteva di rimanere in Conservatorio e continuare gli studi, altrimenti avrei dovuto cambiare Conservatorio oppure dedicarmi allo studio dell’Arte e dell’Archeologia che mi piacevano e tuttora piacciono moltissimo. Per fortuna Bettinelli convinse Corghi a farmi diplomare in Composizione Tradizionale. In quei tempi Corghi fu comunque molto comprensivo e gentile con me.
7. Nel tuo essere un compositore che peso aveva la nozione di “comunicazione” e la sua eventuale necessità?
Tutto, ma non me ne rendevo conto. Componevo per me stessa, perché da sempre ne sentivo la necessità, perché mi era naturale esprimermi con la musica e con una base tonale. Avevo iniziato a 4 anni e 8 mesi nel dicembre del 1958 con un pezzettino per pianoforte in Si minore per portarlo a mia nonna in Inghilterra che era diplomata in quello strumento. Questo diventò un rito annuale con anche due o tre composizioni per pianoforte l’anno e fino ai diciannove, quando mi misi a studiare Composizione privatamente e seriamente con Bettinelli. Quell’anno ero stata accettata all’università di Reading per studiare Storia e Archeologia, ma poi non ebbi dubbi e scelsi la Composizione giacché non sarei stata capace di portare avanti le due materie contemporaneamente. Tuttora non m’importa se la mia musica comunica o no. Non è la prima ragione per la quale compongo. Se dovesse andare persa (come sicuramente succederà un bel momento perché tutto è destinato a scomparire) oppure se dovessi comunque scrivere per il cassetto, come sto facendo e come mi ha insegnato a fare mio padre, non farebbe alcuna differenza nella mia vita. Sebbene la mia musica sia più “comunicabile” di molte altre contemporanee, non tutti la comprendono per via della sua complessità. Molti del pubblico, inclusi membri della mia famiglia (zii, cugini ecc.), non la capiscono per via dello stile e dell’armonia più moderna di molti altri autori del 20° secolo. Per loro non sono per nulla tradizionale, diversamente da come tuttora sono etichettata dal circuito dell’“Avanguardia”.
8. Eri a conoscenza dell’attività dei cosiddetti compositori neoromantici? Cosa pensavi, all’epoca, della loro musica?
Da ragazza, vivevo una vita musicale molto solitaria (recandomi ai concerti di tutti i generi di solito da sola e, in un particolare anno ben, otto concerti la settimana – due volte la domenica), non fui a conoscenza dei cosiddetti compositori neoromantici fino al 1979, quando entrai nella classe di Corghi e conobbi nuovi compagni di composizione. Alcuni si erano già convertiti dall’Avanguardia al Neoromanticismo, ma non era facile ascoltare le loro musiche perché Musica nel Nostro Tempo non le programmava. Altri si convertirono negli anni successivi, ma io non li apprezzavo più di tanto perché li trovavo altrettanto vacui, se non addirittura banali.
9. Ritenevi che l’ambiente a te circostante offrisse consistenti opportunità di esecuzione?
Per me non c’erano quasi opportunità di esecuzione e tuttora in Italia ce ne sono ben poche, mentre ogni tanto all’estero qualcuno acquista i miei due CD della Naxos e mi scrive per farmi i complimenti, se non addirittura per offrirmi un concerto. Anche per i Neoromantici non c’erano e tuttora non ci sono molte possibilità d’esecuzione quante quelle per l’Avanguardia che aveva e ancora ha un monopolio e un controllo maggiore sulle case editrici, discografiche, radio, concerti ecc.
10. Quale messaggio doveva passare attraverso la tua musica?
Un messaggio umanistico e spirituale, anche se ogni tanto ho composto qualche brano per puro divertimento.
11. Pensavi che il compositore dovesse impegnarsi su un piano politico-sociale?
No. L’ho sempre rifiutato. Soprattutto ho sempre avuto poca considerazione per le persone che grazie a questa motivazione “impegnata” hanno usato l’ideologia politica come facile mezzo per far carriera.
12. Quali rapporti avevi con gli enti di committenza e produzione musicale (case editrici, società di concerti, teatri etc.)?
Non cercavo di essere pubblicata, né cercavo concerti. Mi accorsi ben presto che quasi nessuno aveva la buona educazione di rispondere alle mie lettere, fax o telefonate e quindi smisi di cercare opportunità. Inoltre, una (a tutti nota) responsabile della più importante casa editrice musicale italiana, mi disse che la mia musica non sarebbe mai stata di loro interesse. Non avevo appoggi di nessun genere per l’Italia. Ogni tanto qualcuno mi proponeva qualcosa, tipo un pezzo con organico preciso ed io valutavo se avevo voglia di comporlo o no. Non mi sono mai costretta a comporre controvoglia perché non ho mai considerato di fare il mestiere del compositore. Per me comporre era una necessità spirituale e lo consideravo un lusso che mi potevo permettere, prima perché avevo i genitori che mi mantenevano e in seguito perché avevo il mio stipendio di supplente e poi di ruolo in Conservatorio. Non ho neanche mai considerato l’insegnamento un mestiere, ma solo un piacere e una gran fortuna. Però, nel 1999 cercai una casa discografica e dopo 11 rifiuti trovai la Naxos che s’impegnò subito a realizzare due CD con i miei lavori per orchestra. Tuttora non cerco concerti, case editrici, opportunità musicali di vario genere.
13. Avevi un tuo rapporto con un’idea di musica in qualche modo tonale?
Come detto, fino ai diciannove anni composi e tenni a memoria trentadue pezzi esclusivamente tonali. Una volta acquisita la capacità della scrittura musicale, composi anche alcuni pezzi atonali per pianoforte, altri per complessi da camera e un Ostinato per quartetto con pianoforte basato su una serie dodecafonica, ma cercando sempre di mantenere delle armonie le meno dissonanti possibili. Appena diplomata nel 1980 iniziai un quartetto per archi ancora atonale, “Belsize” che nel 1982 vinse il 1° premio al concorso Washington International Competition. Questo brano, assieme al pezzo seguente, le “Favole” per orchestra, determinò un momento di svolta compositiva. Sentii che avevo trovato uno stile tutto mio, ma non ne ero ancora del tutto consapevole.
14. Avevi sviluppato qualche teoria compositiva?
Continuavo (e continuo) a esplorare il mio mondo musicale ma, sebbene mi piacesse quello che componevo, non ero sicura di avere una voce propria o se stessi realizzando dei “pastiches”. Mi continuano a dire che ho un mio stile molto personale, ma preferisco non pensarci. Sia quel che sia.
15. Hai una preparazione accademica?
Sono diplomata in Composizione e ho studiato pianoforte principale fino a quasi l’ottavo anno, ma non ho sostenuto l’esame di corso medio e non ho desiderato continuare questo studio perché ho voluto dedicarmi totalmente alla Composizione.
16. Puoi dirci qualcosa del tuo metodo compositivo?
Viviamo in un’epoca eclettica nella quale, a mio avviso, si possono riconoscere due correnti principali: l’Avanguardia e Post-Avanguardia (atonalità) e la Neo-Tonalità. Quest’ultima comprende Neo-Romanticismo, Neo-Impressionismo, Neo-Rock, Minimalismo e numerose altre correnti che mi sembra abbiano le stesse origini, cioè quelle del recupero della tonalità e di conseguenza della comunicabilità. Personalmente mi sento vicina alla Neo-Tonalità e in particolare al Neo-Romanticismo, ma inteso nel senso originario della parola, che invece è spesso impiegata genericamente.
La mia posizione, la mia estetica personale e la mia musica in generale sono il risultato di sollecitazioni emotive, accompagnate e sorrette comunque da forme e tecniche razionali, senza compiacimenti tecnici, né grafici, né emotivi. A mio modo di vedere, del resto, questa concezione artistica dovrebbe valere non solo per la Neo-Tonalità ma anche per l’Avanguardia e la Post-Avanguardia. Va fatta distinzione tra viva innovazione artistica e sperimentazione fine a se stessa.
Nonostante ne comprenda la difficoltà, condivido l’auspicio per un Nuovo Umanesimo con l’introduzione di nuove forme e la rivalutazione di altre già affermate ma con nuove strutture interne; non certo comunque un mero ritorno a modelli del passato.
STRUTTURA E FORMA
Non credo nella composizione basata su formule, disegni e dottrine di tecniche prestabilite che non consentano larga flessibilità, che non si possano modificare o anche radicalmente cambiare secondo le esigenze interiori, consce o subconscie del compositore. La Neo-Tonalità (che oltre alla tonalità pura può includere momenti di politonalità oppure di atonalità) riunisce qualità logiche e una flessibilità che consentono un equilibrio tra la razionalità e quell’intuizione artistica che a volte può apparire inspiegabile anche al compositore stesso. Sostengo la necessità di un sistema organico di composizione, applicabile non solo a un singolo lavoro ma all’intera concezione artistica propria del compositore. Prediligo una concezione sinfonica, soprattutto orchestrale e spesso in forma ciclica.
RITMO
Nelle mie composizioni utilizzo una ritmica ricorrente e chiaramente distinguibile, memorizzabile o almeno riconoscibile a orecchio. Non sono propensa all’infinità di ritmi complessi sovrapposti o in successione che in realtà arrivino all’orecchio solo come dei cluster o delle fasce indistinguibili oppure come successione di valori equivalenti. Di conseguenza credo in una tematica ben definita. A mio modo di vedere i cluster e le fasce sono utilizzabili come accompagnamento alla tematica.
ARMONIA E CONTRAPPUNTO
Prediligo l’uso contestuale di varie tecniche tradizionali e moderne, incluse quelle minimaliste (come accompagnamento). Credo in un’armonia chiara, ben definita e consequenziale in senso lato, cioè strutturale. La mia armonia vuole essere essenzialmente Pan-Diatonica con momenti Pan-Cromatici. Generalmente impiego un centro tonale principale (senza però tutte le funzioni della tonalità tradizionale) e uno o due centri subordinati creanti livelli diversi di tensione. Le armonie singole possono anche essere identiche a quelle tradizionali, ma sono contrapposte in modo diverso e hanno forze direzionali e risolutive di tipo diverso. Infatti, il mio basso, sebbene sorregga l’armonia, spesso non la genera. Pertanto, l’uso congiunto di questi accordi e centri tonali crea effetti di tonalità ambivalente.
ORCHESTRAZIONE E COLORE
Le mie idee tematiche sono spesso concepite a blocchi e in conseguenza anche l’orchestrazione é concepita il più delle volte per grandi masse timbriche piuttosto che per timbri rarefatti. Uso molti raddoppi. Prediligo le masse dei legni, degli ottoni e degli archi intese come unità ben distinte ed anche sovrapponibili. Mi piace forzare gli strumenti verso i registri estremi al fine di ottenere particolari tensioni espressive, senza tuttavia avvalermi di virtuosismi strumentali fini a se stessi.
17. Per gli anni Ottanta si parla spesso di affermazione del “postmoderno”. Avvertivi un nesso tra ciò e la tua attività?
No. Wikipedia afferma che ‘grazie alla musica postmoderna si perdono le rigide connotazioni di arte “alta” e arte popolare’. Questa frase afferma esattamente l’opposto di quello che penso e sento.
18. Conoscevi il movimento tedesco “Nuova semplicità”?
Non fino a quando la musica di HK Gruber uscii alla ribalta con “Frankenstein”. Inoltre, vivendo una vita musicale molto isolata, prima di questo pezzo non sapevo neanche che esistessero i Minimalisti americani. Ho conosciuto le loro musiche e quelle degli italiani appena dopo Gruber.
19. Che rapporti avevi con la produzione pittorica e poetica di quel periodo?
Riguardo all’Arte figurativa, ho sempre avuto un rapporto notevolmente maggiore e aggiornato che con la Musica perché sin da giovane non ho mancato mai di visitare musei e mostre. Riguardo alla Letteratura, che richiede molto più tempo, non ho potuto tenere il passo con questa a causa dell’enorme arretrato di “ Capolavori Classici” di varie epoche.
20. Ti sarebbe piaciuto avere un ruolo di organizzatore musicale?
No. Io ho sempre voluto esclusivamente comporre.
21. Insegni musica e cosa pensi dell’insegnamento, delle sue istituzioni ufficiali? Se insegni, puoi dire qualcosa sul tuo metodo e le tue idee didattiche?
Ufficialmente insegno Composizione, ma da me non vengono allievi d’Avanguardia o Post-avanguardia perché si sa come la penso. Da me vengono allievi tra i direttori, strumentisti e compositori che desiderano un’educazione tradizionale e preferiscono una libertà di scrittura a loro connaturata. Finché posso, preferisco non insegnare Composizione per il Diploma Accademico di Primo Livello e quello di Secondo Livello al Conservatorio di Milano perché, considerata la situazione in atto, non avrei la libertà di insegnare ciò che ritengo importante e seguire gli allievi accompagnandoli nello sviluppo dei loro stili. Non mi pare che allo stato attuale esista una totale libertà d’espressione, bensì sopravviva un certo accademismo ideologico che tende a bloccare sul nascere chi non si dimostra “allineato”. Perciò, come da sempre, continuo a insegnare Armonia, Contrappunto, la Fuga, pezzi in forme e stili storici e Orchestrazione tradizionale; tutto quello che è sufficiente per comporre, ovviamente se si hanno vere doti da Compositore.
22. Pensi che la musica d’arte abbia un ruolo nella società attuale? Quale?
Se la musica leggera serve per divertire e trascorrere il tempo, la Musica d’Arte dovrebbe esistere per dare un apporto più profondo e più spirituale alla nostra vita. Purtroppo, ai tempi d’oggi tutta la musica è definita “entertainment” ed io questo non lo accetto, né lo comprendo. Non mi sento di servire nessuno proprio perché non la considero un mestiere. Compongo innanzi tutto perché amo comporre, perché fa parte del mio essere e della mia vita. Comunque, mi fa sicuramente piacere sapere che la mia opera piace a qualcuno.
23. Ci sono tue composizioni che meglio rappresentano le tue idee? Ce ne vuoi parlare?
Tutte le mie composizioni dopo il Diploma rappresentano vari aspetti della mia personalità artistica, da quelli più seri e angosciati a quelli più leggiadri e allegri. Tutti i compositori del passato hanno composto pezzi sotto l’influsso di varie emozioni perché ciò fa parte della natura umana. La vera Arte è l’espressione più astratta ed elevata dell’Uomo. Non è una questione solo di comunicare in modo superficiale o di compiacere i sensi, ma di elevare profondamente il proprio spirito. Comunque, tra le mie composizioni preferite vi sono Florestan, la mia Prima e Seconda Sinfonia, Messidor, la Sonata Rapsodica, Simply Largo…
24. Cosa pensi delle nuove tecnologie per la diffusione della musica? Ne fai uso?
Non faccio uso di nuove tecnologie per la diffusione della musica oltre il computer e il programma Finale per la scrittura grafica delle mie musiche, per stamparle e inviarle in MUS o PDF. Scrivo direttamente il canovaccio del pezzo al pianoforte alla vecchia maniera, su quattro o cinque righi su carta con matita. Poi lo ricopio o faccio ricopiare in partitura sul computer per poi orchestrare il pezzo tramite tastiera musicale e tastiera alfa-numerica direttamente al computer. Dai file estraggo il numero di partiture che mi servono e faccio estrarre le parti quando mi eseguono. Il mio pensiero musicale richiede solo strumenti facilmente impiegabili negli ensemble e nelle orchestre classiche. Non ho l’esigenza artistica di fare diversamente.